In Breve Lancio in Calabria a Palmi
Bella Calabria, compreso l'omicidio.
Qui di seguito il primo capitolo del libro di Barbara Collet scrittrice tedesca, sulla Calabria ed esattamente la provincia di Reggio Calabria, negli anni 80, uno spaccato dell'epoca con tante verità e un po di immaginazione che porta l'autore e il personaggio principale lontano dalla sua terra, ma allo stesso tempo una descrizione di usi e costumi, tra amore e odio.
Titolo | Bella Calabria
Autore | Barbara Collet
Traduzione letteraria: Andrea Ruggeri
ISBN | 979-12-21479-10-2
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Il Libro è un romanzo, la trama è casuale, qualsiasi somiglianza con persone e fatti reali è pura coincidenza. Citazioni su incarichi e o responsabili di confraternite sono state raccolte dall'artista in base alla memoria popolare.
Primo capitolo
La processione in onore di Santa Maria del Monte Carmelo quell'anno, il 1985, si avvicinava. Antonio, chiamato localmente Priore è a Capo della Confraternita dell'Ordine Carmelitano, parcheggiò la sua Fiat nella piazza davanti alla chiesa barocca e si diresse verso il portale principale. Il sudore gli scorreva sulla fronte. La sua camicia bagnata gli si appiccicava alla schiena. La luce abbagliante, del sole di luglio, riflessa dalle lastre di marmo bianco del piazzale, gli bruciava gli occhi. Una brezza marina gli accarezzava il viso. Premette la mano contro il pesante portale d'ingresso, che si aprì cigolando, ed entrò nella navata della chiesa. Per un momento si godette l'aria fresca, guardò l'altare riccamente decorato da gigli bianchi. Voci eccitate provenivano dalla sacrestia. Nove donne, che avevano giurato silenzio, avevano accesso al segreto lì custodito: La Madonna, avvolta in un abito monacale di cotone pesante per trecentocinquanta quattro giorni, era riportata in vita in quegli undici giorni estivi: in piedi sul piedistallo, reso umano da mani operose, divenne il centro splendente nei giorni della festa per quel pubblico riverente. I suoi adorni - conservati nei tesori della confraternita - consistevano in una cintura d'oro, abbinata al suo vestito di tessuto prezioso, un mantello ricamato anch'esso in oro, fluenti capelli castani ricci, una corona ingioiellata e lo scapolare di stoffa intorno al polso. Tutto questo la trasformava in una santa imponente e degna di adorazione. Teneva il bambino sul braccio sinistro. Le dita della mano destra si allargavano come in segno di benedizione, il bambino guardava stoicamente verso il basso con la testa china - sua madre nel vuoto. Il copricapo dorato, l'abito di broccato, il gioiello elaborato e ricamato intorno al polso sinistro non lasciavano spazio a dubbi sulla sua origine reale. Lo scapolare - segno di eccellenti credenti che, più di ottocento anni prima, usarono i crociati cristiani come un'opportunità per condurre uno stile di vita ascetico - prometteva a chi lo indossava pace, salute, assenza di pericolo e morte senza paura.
Antonio guardò la figura nuda e poco appariscente sulla quale le donne stavano lavorando con fervore. Perché i cattolici erano così intenti a ritoccare quadri e sculture? Era infantile, semplice. Come se non si potesse pregare Dio senza questo "kitsch". "Non devi farti immagine scolpita né forma simile ad alcuna cosa che è nei cieli di sopra o che è sulla terra di sotto o che è nelle acque sotto la terra". - Non era nella Bibbia? Sorrise a sé stesso.
Ogni anno lo stesso teatro. I credenti borghesi andavano in estasi alla vista della dolce Madonna. Con quella Santa che guardava nello spazio, con l'aspetto di una regina, credevano che avrebbero ottenuto protezione dal minaccioso futuro. Donavano soldi e le erano vicini durante la processione in pubblico, una volta all'anno. Tutti ammiravano la bellezza e pensavano di essere al sicuro. Assurdo. Lui non ne aveva bisogno. La sera sarebbe stato in compagnia dei suoi libri. Inosservato. Purché gli fosse concesso almeno questo svago, era pronto a prendere sul serio i doveri di capo della Confraternita.
Antonio parlò brevemente con le donne, che gli offrirono un "suspiro i monaca" (dolce di pan di spagna farcito con crema pasticcera e arricchito con glassa bianca esterna, ornato con una ciliegina al centro) e riempirono un bicchiere d'acqua. Gli raccontavano dei problemi nella preparazione e delle sentinelle che impedivano ai curiosi di entrare in sacrestia.
Gli dissero che suo figlio, di dieci anni, che era stato assegnato per la prima notte, aveva superato il suo compito di guardia senza lamentarsi. Antonio registrò questa lode con soddisfazione. Il figlio Oreste sembrava avere poco talento. Era un ragazzo grasso e goloso che senza nessun entusiasmo. Nei mesi estivi preferiva il fresco del salotto e fissava per ore i canali delle televisioni private.
Antonio sospirò. Pensando anche alla figlia adolescente Antonella, che lo portava sempre alla disperazione. Nel suo cuore aveva trovato la giusta spiegazione per i suoi figli ribelli: "Elisabetta".
Lei, la maestra elementare, che insegnava in una scuola di un paesino di montagna, mostrava poco interesse nell'educare i suoi figli a diventare persone normali.
Alla vista di nuovi libri scolastici, che le venivano regolarmente consegnati da Reggio e Catania, mostrava un cortese interesse con uno sbadiglio trattenuto dal fastidioso pensiero dei costi in più che tutto questo portava in casa.
Dopo vent'anni di matrimonio, Antonio, smise di ascoltarla, mentre blaterava sulla sua educazione elitaria presso i gesuiti in Sicilia. Capì che la frattura tra loro si sarebbe approfondita ulteriormente.
Cercava di calmare il sentimento di inferiorità, accumulato nel corso degli anni, con notti di tenerezza. Godeva silenziosamente delle sue dimostrazioni d'amore. Segretamente, ammette, a sé stesso, che la sua vita in famiglia non era particolarmente piacevole. La loro modesta dimora, il padre brontolone, anzi un despota, e la madre eternamente velenosa non offrivano un ambiente favorevole alla gioia di vivere.
Antonio aspettava la morte del padre. Sperando che la vita prendesse una piega positiva.
Sulla scrivania di mogano del futuro defunto, stendeva i suoi libri e proseguiva gli studi sugli insediamenti semitici nella Calabria meridionale. Se gli chiedessero perché, non avrebbe potuto dare una risposta plausibile. Forse era semplicemente disturbato dalla concretezza con cui la Chiesa cattolica rivendicava la sua posizione dominante nel paese. Ufficialmente, tuttavia, aveva giustificato il suo interesse con la bellezza e la diversità culturale della città di Gerusalemme.
Salì sulla Fiat Cinquecento e si diresse verso il luogo dove si guadagnava da vivere, il distributore di benzina.
Roberto lo stava aspettando.
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