Campi Flegrei: il piano di evacuazione e le incognite della fuga di massa

19.03.2025

La crescente attività sismica nei Campi Flegrei, con episodi di bradisismo sempre più frequenti, ha riacceso il dibattito sulla sicurezza delle centinaia di migliaia di persone che vivono in quest'area vulcanica attiva. Il piano di evacuazione predisposto dalla Protezione Civile prevede lo sgombero della zona rossa – la più esposta a un'eventuale eruzione – che coinvolge circa 500.000 residenti, oltre a una gestione straordinaria della zona gialla, che conta circa 800.000 abitanti.

Ma la vera domanda è: come si può evacuare in poche ore oltre 1.300.000 persone senza generare il caos?

Il piano ufficiale: tempi e modalità

Secondo le autorità, l'evacuazione dovrebbe avvenire in due fasi:

  1. Preallarme: i cittadini, una volta dichiarato lo stato di emergenza, potrebbero allontanarsi autonomamente, usufruendo di un contributo economico per raggiungere luoghi più sicuri.

  2. Allarme: verrebbe avviata l'evacuazione assistita, con trasporto pubblico dedicato per portare la popolazione verso le regioni gemellate, designate per accoglierli.

L'obiettivo dichiarato è completare l'evacuazione in 72 ore: 12 per la preparazione e 60 per il trasferimento. Ma nella pratica, il piano si scontra con enormi difficoltà logistiche e un possibile effetto panico.

Il nodo viabilità: un imbuto senza uscita?

Le principali arterie stradali dell'area flegrea – la Tangenziale di Napoli, l'Asse Mediano e la SS7 Quater Domitiana – non sono strutturate per sostenere un esodo simultaneo di questa portata. La Protezione Civile stima un flusso di circa 400.000 veicoli solo dalla zona rossa, senza contare quelli della zona gialla e i mezzi di emergenza. A complicare le cose, vi è la prevedibile fuga incontrollata di altre 900.000 persone residenti nelle aree limitrofe, spaventate dal rischio eruttivo.

Ciò significa che, nel peggiore degli scenari, oltre 2.200.000 persone potrebbero riversarsi in strada nello stesso momento, paralizzando qualsiasi tentativo di evacuazione ordinata.

Le alternative: vie del mare e treni

Una soluzione complementare proposta è quella di sfruttare i porti di Pozzuoli, Napoli e Bacoli per trasportare via mare migliaia di persone, riducendo così il traffico su gomma. Tuttavia, questo metodo presenta problemi di capacità e tempi operativi, oltre al rischio che le scosse sismiche rendano impraticabili le infrastrutture portuali.

Un altro punto critico è l'utilizzo della ferrovia. Sebbene esistano collegamenti come la Cumana e la Circumflegrea, questi non hanno la capacità di trasportare un numero così elevato di persone in tempi rapidi. Tuttavia, città come San Paolo del Brasile riescono a movimentare milioni di persone ogni giorno su treni e metropolitane per distanze superiori ai 70 km. La metropolitana di Shanghai, ad esempio, trasporta oltre 10 milioni di passeggeri al giorno, mentre quella di San Paolo gestisce più di 4 milioni. Un sistema ferroviario moderno e antisismico, progettato per resistere a eventi tellurici, potrebbe garantire un'evacuazione rapida ed efficiente, evitando l'ingorgo delle strade e aumentando significativamente le probabilità di successo del piano.

Il rischio panico: una variabile incontrollabile

A tutto questo si aggiunge un fattore umano: il panico. È altamente probabile che, al primo segnale di eruzione imminente, molti cittadini tentino di mettersi in salvo prima dell'attivazione del piano ufficiale, congestionando ulteriormente le strade e rendendo inefficaci le misure programmate. Inoltre, molte persone potrebbero rimanere paralizzate dalla paura, incapaci di reagire o prendere decisioni rapide.

Un altro grande problema riguarda chi non potrà accedere immediatamente ai propri mezzi di trasporto: studenti a scuola, lavoratori lontani da casa, anziani soli. Se l'evacuazione avviene durante il giorno, molte famiglie potrebbero essere divise, aumentando il rischio di disorganizzazione e panico. Ma il peggiore scenario è se succede di notte: strade buie, persone impreparate, comunicazioni difficoltose e un'evacuazione ancora più caotica.


Ripensare l'urbanizzazione delle aree vulcaniche

Oltre a migliorare i piani di evacuazione e le infrastrutture di trasporto, una soluzione a lungo termine potrebbe essere un cambio di mentalità sulla costruzione delle abitazioni. Incentivare la popolazione a trasferirsi fuori dalle zone ad alto rischio – come i Campi Flegrei e il Vesuvio – attraverso sgravi fiscali, incentivi economici e nuove opportunità di sviluppo abitativo potrebbe ridurre drasticamente il pericolo per centinaia di migliaia di persone.

Conclusioni: un piano sufficiente?

Il piano di evacuazione per i Campi Flegrei è senza dubbio uno dei più complessi mai progettati in Italia. Tuttavia, le difficoltà logistiche e la variabile umana lasciano aperti numerosi interrogativi sulla sua reale attuabilità. Senza un'adeguata pianificazione dei flussi di traffico, un sistema di evacuazione via mare ben strutturato e una chiara comunicazione ai cittadini, il rischio è che il piano, per quanto ben studiato, non riesca a evitare il caos.

Ma forse la vera sfida è un'altra: pensare a lungo termine e ripensare la presenza di grandi centri abitati in aree vulcaniche attive, prima che sia troppo tardi.

L'unica certezza è che il tempo per migliorarlo è limitato. Il bradisismo non aspetta, e nemmeno la natura.

Andrea Ruggeri