Cittadinanza negata ai discendenti di Italiani

06.04.2025

Cittadinanza negata: Petruzziello, Merlo e Ruggeri uniti nella difesa degli italiani all'estero

"Prima li abbiamo costretti a emigrare, poi sono stati loro ad aiutarci, sostenendoci dopo la Prima e la Seconda Guerra Mondiale: basti pensare alle decine di ospedali, chiese e luoghi pubblici costruiti grazie alle donazioni delle comunità italiane all'estero. E oggi? L'Italia nega la cittadinanza proprio ai loro discendenti."

Le recenti polemiche sul decreto-legge che modifica le condizioni per il riconoscimento della cittadinanza italiana ius sanguinis hanno riportato al centro del dibattito la condizione degli italiani all'estero e il valore del legame storico-culturale che milioni di persone nel mondo continuano a sentire con il nostro Paese. Tre voci si sono levate con forza e chiarezza: quelle di Walter Petruzziello, consigliere CGIE in rappresentanza del Brasile, di Ricardo Merlo, presidente del MAIE (Movimento Associativo Italiani all'Estero), e di Andrea Ruggeri, giornalista, presidente di GIA – Giornalisti Italiani Associati – e testimone diretto di una vita vissuta all'estero, tra figli e nipoti cresciuti con l'italianità nel cuore.

Durante un'audizione alla Terza Commissione del Senato, Petruzziello ha denunciato le gravi conseguenze del nuovo decreto, sottolineando come questo rischi di compromettere definitivamente l'accesso alla cittadinanza per decine di migliaia di discendenti italiani residenti all'estero. "Faccio un appello al Senato", ha dichiarato in un intervento appassionato, "e mi sfogo un po', perché qui si sta mettendo in discussione un diritto che affonda le sue radici nella nostra storia". Il consigliere ha evidenziato come il provvedimento introduca criteri nuovi e più rigidi, complicando o rendendo impossibile il riconoscimento della cittadinanza per chi ha già intrapreso da anni un percorso spesso lungo e frustrante.

Un esempio emblematico è quello del Consolato Generale d'Italia a Curitiba, nello Stato brasiliano del Paraná: circa 30.000 persone in lista d'attesa, alcune da oltre un decennio, a causa dell'incapacità dell'amministrazione consolare di gestire una domanda che riflette un desiderio legittimo e profondo di appartenenza. "Non sono persone che hanno abbandonato il processo per disinteresse", ha detto Petruzziello, "ma cittadini penalizzati da una macchina burocratica che non funziona".

Nel suo intervento, il consigliere ha anche ribaltato la narrazione che vede nei discendenti di italiani una potenziale "massa" da contenere o un "peso" per l'Italia. "Sono parte del nostro patrimonio culturale nel mondo", ha dichiarato, ricordando che la maggioranza non cerca di stabilirsi in Italia né di usufruire del sistema di welfare, ma vuole un riconoscimento formale della propria identità.

Questa visione trova piena sintonia con le parole di Ricardo Merlo, che in un'intervista ha replicato duramente alle dichiarazioni del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Il ministro aveva recentemente messo in dubbio la solidità del legame degli italo-discendenti con la cultura italiana, sostenendo che molti in Sud America richiederebbero la cittadinanza solo per ottenere un passaporto europeo e muoversi più liberamente.

Merlo ha definito tali affermazioni "inopportune e politicamente sbagliate", accusando Tajani di aver aperto un fronte ideologico pericoloso, contrapponendo gli italiani all'estero agli immigrati. "Così facendo", ha affermato, "si entra in un terreno fangoso, e si rischia di sabotare qualunque iniziativa costruttiva sul tema".

Secondo il presidente del MAIE, la cittadinanza per discendenza non è un favore, ma un diritto riconosciuto dalla Costituzione italiana. "Chi ha sangue italiano è italiano. Non si può generalizzare pensando che tutti cerchino vantaggi economici o sociali. Molti di loro parlano italiano o i dialetti regionali, studiano in scuole italiane, vivono secondo valori e tradizioni che rispecchiano il nostro Paese".

Ma il colpo più diretto al cuore del decreto arriva da Andrea Ruggeri, presidente di GIA, che ha vissuto per oltre trent'anni all'estero e parla da padre e da nonno. "Sento viva preoccupazione – ha dichiarato – da questa ultima risoluzione di Tajani. Cioè Ministro, se mia nipote, che parla italiano e si comunica con il nonno tutti i giorni, dovesse un giorno sposarsi e avere un figlio, quel bambino non otterrebbe la cittadinanza. Ma uno straniero che non ama e mai si adatterà alla nostra cultura e usanze, potrà avere la cittadinanza."

Ruggeri sottolinea anche l'ipocrisia economica dietro certe scelte legislative: "Quei 100.000 o più che hanno ottenuto la cittadinanza con le cosiddette 'residenze veloci' hanno pagato tutto di tasca propria: affitti, avvocati, spese di viaggio. Non vivranno in Italia, forse, ma hanno dovuto essere ricchi e istruiti per farcela. Istruiti da un altro Paese. Ecco perché dico che, se davvero volessimo che persone capaci e motivate venissero a vivere e lavorare in Italia, dovremmo concedere subito la cittadinanza agli oltre 100.000 bloccati da oltre dieci anni nei consolati. Gente che non cerca scorciatoie, ma che verrebbe a colpo sicuro. Figli, nipoti e pronipoti di italiani. Non clandestini."

Conclusione

In un momento in cui l'Italia guarda con crescente interesse al Sud globale e all'America Latina, chiudere la porta in faccia a milioni di discendenti di italiani suona paradossale. Le parole di Petruzziello, Merlo e Ruggeri ci ricordano che la cittadinanza non è solo un passaporto: è un legame affettivo, culturale e spesso spirituale che chiede rispetto, non ostacoli. Le istituzioni italiane sono chiamate a rispondere, non con decreti restrittivi, ma con una visione inclusiva e lungimirante della propria identità globale.

Djàvlon