Fine dei sequestri a chi è assolto

08.01.2025

Misure di prevenzione rivoluzionate: la Cassazione cancella il doppio binario del Codice Antimafia

La notizia l'avremmo data immediatamente, visti i tanti processi con questi problemi in Calabria e Sicilia, ma abbiamo aspettato pensando fosse accompagnata, per lo meno a Natale e Capodanno da risultati immediati, cioè soluzioni di quei casi che hanno portato persone a perdere tutto, a suicidarsi, a distruggere la propria vita e quella dei loro familiari o a salire, 1, 2, 3, 4, 5 volte su una gru o su un tetto di tribunale per avere uno straccio di giustizia. Non è successo ancora e siamo all'8 gennaio e allora lo abbiamo scritto, ed era giusto farlo, che i giudici non ce ne vogliano, Gratteri in primis, ma questa legge faceva più male che bene.

Una sentenza destinata a fare storia. La Corte di Cassazione, con la decisione n. 45280/2024, ha segnato una svolta nel controverso tema delle misure di prevenzione antimafia, sfidando apertamente il sistema giuridico italiano sul fronte del rispetto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). Le motivazioni, depositate il 10 dicembre scorso, portano un messaggio chiaro: i reati presupposti delle misure di prevenzione possono costituire indizi di pericolosità solo se accertati in un processo penale.

Questa affermazione rappresenta un terremoto giuridico e politico che potrebbe riscrivere il futuro della prevenzione patrimoniale e personale in Italia, allineando finalmente il nostro ordinamento ai principi garantisti europei.

Fine dell'autonomia del Giudice della prevenzione?

Da sempre, il Giudice della prevenzione ha operato in un regime di "autonomia" rispetto al procedimento penale, arrivando spesso a ignorare assoluzioni o archiviazioni. Questo approccio ha consentito il mantenimento di misure restrittive e confische basate su fatti già esclusi dalla responsabilità penale. Ora, però, la Cassazione ha cambiato rotta.

Richiamando l'articolo 6, comma 2 della CEDU, la Suprema Corte ha stabilito che non si può giudicare una persona pericolosa sulla base di fatti che un procedimento penale ha già dichiarato inesistenti o non provati. In altre parole: ciò che è stato assolto non può risorgere come indizio di pericolosità sociale.

Il principio di non contraddizione: una rivoluzione giuridica

Il cuore della sentenza è il principio di non contraddizione, uno dei pilastri dell'ordinamento europeo. La Cassazione lo ha ribadito con forza: "Non si può essere assolti in sede penale e considerati colpevoli, anche indirettamente, in sede di prevenzione".

Per supportare questa posizione, la Corte ha citato la storica sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nel caso Rigolio c. Italia (2023). In quella decisione, i giudici di Strasburgo avevano già sottolineato che la presunzione di innocenza non è un principio limitato al processo penale, ma si estende a qualsiasi contesto in cui la colpevolezza venga indirettamente presupposta.

La prevenzione sotto accusa: è davvero giustizia?

Con questa pronuncia, la Cassazione ha lanciato una pesante accusa implicita al sistema italiano delle misure di prevenzione. "Invocare la presunzione di innocenza convenzionale – scrivono i giudici – significa riconoscere che il giudizio di pericolosità deve basarsi su un previo accertamento legale del reato."

Le conseguenze sono esplosive: senza un "reato accertato", l'intero impianto delle misure di prevenzione potrebbe collassare. Beni confiscati, patrimoni sequestrati, limitazioni personali potrebbero essere dichiarati illegittimi se basati su presupposti non verificati in un processo penale.

Giusto processo e pregiudizialità penale: le vie da seguire

La sentenza apre due possibili scenari per il futuro:

  1. La procedimentalizzazione piena della prevenzione: le misure di prevenzione dovrebbero essere sottoposte a tutte le garanzie del giusto processo, così come previsto dall'articolo 111 della Costituzione.
  2. La pregiudizialità penale: ogni giudizio di pericolosità dovrebbe essere vincolato all'accertamento di un reato in sede penale, come già suggerito dalla CEDU nei casi Cavallotti c. Italia.

In entrambi i casi, si tratterebbe di un colpo letale all'autonomia del sistema di prevenzione italiano, certificandone il carattere punitivo e, forse, la sua stessa inutilità.

Conclusioni: la prevenzione è giustizia o repressione?

La sentenza della Cassazione apre una crepa in un sistema spesso criticato per la sua ambiguità e per il rischio di abuso nei confronti dei diritti fondamentali. 

È la fine di un'era? Forse. Ma è anche l'inizio di un nuovo dibattito, che vede scontrarsi garantismo e sicurezza, Stato di diritto e necessità di controllo.

Ma che non può distruggere la vita di persone giudicate innocenti.

Mentre la politica e i tribunali italiani valutano come reagire, una cosa è certa: da oggi, il sistema di prevenzione non sarà più lo stesso.

Beneficiari o possibili beneficiari

Perché possibili beneficiari? Perché sapete com'è, fatta la legge trovato l'inganno, e alla fine saranno loro a decidere dove e come attuarla.

Ma sicuramente errori come quelli fatti ai danni di Franco Lena, imprenditore nel settore edile e proprietario dell'Abbazia Sant'Anastasia di Castelbuono, oggi deceduto e Francesco Gregorio Quattrone ristoratore di Reggio Calabria non potranno essere più fatti e questo è un bene, aspettiamo solo di sapere che i beni di Francesco tornino a sua disposizione.

Le due storie si intrecciano con le pagine più buie della magistratura siciliana, che grazie al processo dell'Ex Giudice Silvana Seguto e la sua condanna assieme a Gaetano Cappellano Seminara, conosciuto come "re degli amministratori giudiziari di Palermo", ha dato forza all'attuale disposizione n. 45280/2024.

E chiaramente sorge una domanda .... Ma i danni economici e morali creati, chi li pagherà?

Aspettiamo con ansia e allora sulla Gru del tribunale di Reggio Calabria saliremo anche noi, magari assieme ai giudici e a Francesco.

Andrea Ruggeri