Perché il calcio è sempre più violento?

16.12.2024

Il calcio, un tempo espressione di passione popolare e lealtà sportiva, sembra oggi travolto da logiche di business spietate, media faziosi e tifoserie esasperate. L'eccessivo sovraccarico di partite – con giocatori costretti a scendere in campo ogni 2-3 giorni – non solo compromette la qualità dello spettacolo, ma mette a dura prova la salute dei giocatori, portando a infortuni sempre più frequenti. Le squadre di vertice, nonostante rose ampie e costose, faticano a schierare una formazione competitiva con continuità, aggravando ulteriormente il clima di tensione. E parlo solo della serie A.

A peggiorare il tutto, c'è il ruolo di una stampa sportiva che, anziché limitarsi a informare e analizzare i fatti, sembra sempre più incline a fomentare polemiche e alimentare il malcontento. Testate storiche come La Gazzetta dello Sport o Il Corriere dello Sport sono spesso accusate di parzialità, soprattutto nei confronti di club come Juventus e Milan, o Roma, Lazio e Napoli. Gli articoli e le domande in conferenza stampa appaiono talvolta costruiti ad arte per provocare, con il risultato di esasperare tifosi e società, trasformando ogni passo falso in un dramma e ogni decisione tecnica in un fallimento totale.

Un esempio lampante è la recente conferenza stampa dell'allenatore della Juventus, dopo un pareggio, in cui il clima è degenerato per via di continue ed uguali domande provocatorie, nonostante la squadra avesse appena ottenuto una grande vittoria contro il Manchester City. Lo stesso vale per il Milan, reduce da continue vittorie in Champions League, ma contestato, per un pareggio anche in questo caso, dai tifosi con cori violenti e striscioni denigratori fuori dallo stadio, anche contro la proprietà, alimentati da una narrazione mediatica che sembra godere nell'acuire i conflitti.

Questa esasperazione non si limita agli stadi. Sempre più spesso si verificano episodi di violenza per le strade, riflesso di un ambiente in cui la passione calcistica è strumentalizzata e trasformata in motivo di divisione e odio. In tutto ciò, i giornalisti che alimentano tensioni dovrebbero interrogarsi sulla loro responsabilità morale: cosa si guadagna dal gettare benzina sul fuoco? La competizione dovrebbe essere sana e costruttiva, non uno spettacolo di rabbia e recriminazioni.

Il calcio è un gioco, ad esempio nella Serie A, in cui 20 squadre competono, non un'arena dove 4 o 5 club devono per forza vincere per evitare una "guerra civile" sportiva. È ora di recuperare il vero spirito dello sport, fatto di passione, rispetto e comunità. Ma per farlo, serve un cambio di rotta: meno speculazione, meno sensazionalismo e più rispetto per chi rende questo sport meraviglioso.

La deriva della stampa sportiva non riguarda però solo il calcio, ma si estende a ogni ambito sportivo, dove La Gazzetta dello Sport sembrano aver abbandonato ogni equilibrio critico in favore di un sensazionalismo esasperato. Campioni di livello mondiale come Jannik Sinner nel tennis o Giannis Antetokounmpo nell'NBA ne sono spesso vittime: un giorno celebrati come eroi nazionali, il giorno successivo bersagliati da critiche feroci, per poi essere nuovamente osannati appena qualche risultato positivo sposta l'attenzione.

Questo comportamento non è solo disorientante, ma profondamente dannoso. Alimenta una narrativa schizofrenica che incita tifosi e appassionati a reazioni estreme, spingendoli dalla venerazione incondizionata all'odio irrazionale nel giro di pochi giorni. Il risultato è un clima sempre più tossico, dove il dialogo costruttivo e il rispetto per gli atleti lasciano spazio a insulti, contestazioni e divisioni.

Non sorprende, quindi, che sempre più tifosi e lettori stiano abbandonando questi giornali, alla ricerca di informazioni più equilibrate e approfondite su piattaforme alternative. La fiducia verso queste testate si erode di giorno in giorno, soprattutto perché gli appassionati si rendono conto di come le notizie vengano manipolate per creare polemiche e aumentare clic e vendite, spesso a scapito della dignità degli atleti.

Attenzione, parlo della serie A e non del caso Reggina in D, dove dopo 1000 promesse, forse, la violenza la fanno i comunicati stampa della dirigenza, insomma, mancanza di professionalità da parte di tutti o di VERGOGNA.

Il Cardinale Gianfranco Ravasi un giorno ha detto: Una volta si sentiva spesso la frase: "Ma lei non si vergogna?". Oggi non si sente più. Probabilmente perché la risposta sarebbe: "Ma è ovvio che non mi vergogno. Perché mai dovrei vergognarmi?". Vergogna è una parola scomparsa". La vergogna è il sentimento che si prova quando si sa di aver compiuto un atto che la coscienza morale condanna. Non ci si vergogna più perché si è venduta la coscienza morale.

Il giornalismo sportivo ed il mondo del calcio in generale, dovrebbe avere quella vergogna citata da Ravasi e tornare ad essere uno strumento per unire, per raccontare storie di sacrificio e successo, non per dividere e fomentare polemiche. Fino a quando continuerà su questa strada, perderà progressivamente la sua credibilità e il suo ruolo centrale, sia nel gioco, sia nella narrazione dello sport.

Andrea Ruggeri