Quando l’ideologia supera il buon governo: il caso del Palazzo della Cultura

09.02.2025

Quando l'incapacità amministrativa si unisce al pregiudizio ideologico, il destino di una città è segnato. Reggio Calabria ne è un esempio lampante. Diverse opere realizzate o restaurate dalla destra politica – dal tapis roulant alle statue di Rabarama, fino all'aquila di Piazza del Popolo – sono state lasciate all'incuria o denigrate.

L'ultimo affronto è avvenuto al Palazzo della Cultura Pasquino Crupi, dove l'Amministrazione Falcomatà ha rimosso una grande targa in pietra di Lazzaro che celebrava l'impegno e i sacrifici compiuti per la realizzazione di quell'opera. Questo è accaduto proprio nel giorno dell'inaugurazione di una mostra condivisa con il Comune di Milano su opere confiscate alla criminalità organizzata.

La vicenda del Palazzo della Cultura affonda le radici in un progetto di legalità e valorizzazione artistica. Inaugurato nel maggio 2016 dopo anni di lavoro, ospitava quadri confiscati alla malavita, la collezione Calarco restaurata dagli studenti del Liceo Preti-Frangipane, le opere di Mintom e una sala dedicata ai giovani artisti reggini. Persino Attilio Fusco contribuì con una donazione di centinaia di libri. Tutto questo, oggi, è stato stravolto da una gestione inesperta e da una volontà politica distruttiva.

L'apice dello sfregio si è raggiunto con la rimozione della targa commemorativa, un atto che tenta di cancellare un'iniziativa di respiro internazionale, celebrata da oltre 370 articoli in tutto il mondo. Ma la storia non si cancella, e la memoria di quel progetto di legalità resterà nella coscienza collettiva della città.

Solo vorremmo capire il motivo di tanto accanimento. Falcomatà (figlio di Italo) ricorda De Nava, che voleva abbattere il castello Aragonese solo perché costruito dagli spagnoli. Se distruggessimo tutto ciò che l'avversario ha fatto, le nostre città, da sempre invase e liberate, sarebbero vuote. Eppure, è proprio questa stratificazione storica a renderle uniche e invidiate. Signor Sindaco, cambi postura.

Djàvlon