Zuckerberg, come Saulo, folgorato, smaschera il sistema

08.01.2025

Zuckerberg smaschera il sistema: addio fact-checking su Facebook e Instagram, un fallimento del governo Biden e dell'Europa censuratrice.

Certo ai cristiani ricorda la conversione di Saulo di Zarso in Paolo (San Paolo), che da persecutore diventa l'apostolo delle gentii.

Mark Zuckerberg, CEO di Meta, ha annunciato la fine del sistema di fact-checking su Facebook e Instagram, un meccanismo introdotto con l'obiettivo dichiarato di combattere la disinformazione. La realtà, però, è emersa chiaramente: questo sistema non solo ha fallito, ma ha contribuito a creare un clima di sfiducia e censura senza precedenti. Zuckerberg stesso ha ammesso che i fact-checker sono stati "troppo politicamente di parte" e hanno "distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata".

Guarda caso quello che il sottoscritto e milioni di pensanti al mondo hanno detto sin dalla sua creazione.

La responsabilità del governo Biden

La svolta arriva in un momento in cui Zuckerberg prende chiaramente le distanze dall'amministrazione Biden, che durante la pandemia di Covid-19 ha spinto per una censura stringente sui social network. 

Vale per le responsabilità dell'invasione del Campidoglio negli Usa e per il presunto Golpe di Bolsonaro in Brasile, falsi entrambi.

Il governo statunitense, in collaborazione con le grandi piattaforme digitali, ha imposto una narrativa unica, ostracizzando chiunque osasse sollevare dubbi o proporre visioni alternative. Si è arrivati a minacciare la vita sociale di milioni di persone con slogan come "Se non ti vaccini, muori" e restrizioni che hanno gravemente limitato le libertà individuali (vi ricorda niente? Da Conte a Draghi, da Speranza a Figliuolo).

L'ammissione tardiva di Zuckerberg conferma ciò che molti avevano già denunciato: l'amministrazione Biden ha abusato del potere delle Big Tech per reprimere il dissenso. Le piattaforme, compresa Meta, sono state strumenti di propaganda governativa, sacrificando il diritto alla libertà di espressione sull'altare del controllo sociale.

L'ipocrisia dell'Europa

Zuckerberg ha anche puntato il dito contro l'Europa, accusandola di adottare un numero sempre crescente di leggi che istituzionalizzano la censura e ostacolano l'innovazione. Il Vecchio Continente si è distinto per la sua ossessione nel controllare le narrazioni pubbliche, imponendo restrizioni draconiane ( Draghiniane) che soffocano il dibattito. 

La scusa è sempre la stessa: proteggere i cittadini dalla disinformazione. La realtà, però, è che l'Europa ha creato un clima in cui la libertà di parola viene sistematicamente compromessa (magari se il presidente Mattarella volesse parlarne con gli italiani, che lo hanno ascoltato appoggiare queste tesi, non sarebbe male, ne guadagnerebbe di credibilità).

I discorsi esplosivi e le leggi, spesso salutate come un baluardo contro le fake news, sono diventate un pretesto per bloccare idee scomode e rafforzare l'egemonia di una visione unica, politicamente corretta e servile agli interessi delle élite. Zuckerberg non ha risparmiato critiche, dichiarando che l'Europa rende sempre più difficile realizzare qualsiasi innovazione e si oppone attivamente alla libertà di espressione.

Insomma un vero Paulo di Tarso.

Un sistema fallimentare

Il sistema di fact-checking di Meta, nato con buone intenzioni (dicono loro), si è trasformato in uno strumento di repressione del dissenso. Durante la pandemia, chiunque osasse mettere in dubbio le decisioni governative è stato silenziato, bannato o etichettato come complottista. Oggi, Zuckerberg riconosce il fallimento e abbraccia un nuovo approccio: le Community Notes, ispirate al modello introdotto da Elon Musk su X (ex Twitter), che favoriscono un controllo decentralizzato e comunitario.

Insomma i complottisti, non terrapianisti, avevano ragione.

Il paradosso di Zuckerberg

Se da un lato Zuckerberg critica l'amministrazione Biden e l'Europa, dall'altro non si può ignorare il ruolo che Meta ha avuto in questi anni. L'azienda ha collaborato attivamente con i governi per imporre una narrazione unica, contribuendo a creare divisioni e alimentando il clima di sfiducia che ora cerca di combattere. La sua svolta è arrivata troppo tardi per recuperare la credibilità perduta.

Insomma non dimentichiamo che poi Paolo ebbe la testa tagliata lo stesso, anzi proprio per essersi convertito.

Le conseguenze di anni di censura

Il sistema di fact-checking non ha solo danneggiato il dibattito pubblico, ma ha anche contribuito a polarizzare ulteriormente la società. Chiunque sollevasse dubbi legittimi veniva ridicolizzato, mentre le piattaforme si arrogavano il diritto di decidere cosa fosse vero e cosa no. Ora, Zuckerberg cerca di rifarsi una verginità, ma le ferite lasciate da anni di censura sono profonde e difficilmente rimarginabili.

A meno che non cominci a fare l'apostolo e ad aiutare, chi per colpa di tutto questo sta soffrendo. Magari un risveglio e conversione di altri, come l'Europa, il Papa, i genuflessi media mainstream, le istituzioni sempre pronte a leccare le scarpe per sopravvivere e i traditori pronti a vendersi per un piatto di lenticchie.

La strada verso il futuro

Il cambio di rotta di Meta rappresenta un passo avanti verso una maggiore libertà di espressione, ma non deve far dimenticare le responsabilità del passato

Il fallimento del sistema di fact-checking è una lezione importante: il controllo della verità non può essere affidato a pochi, soprattutto quando questi pochi sono fortemente influenzati da interessi politici e governativi.

L'amministrazione Biden (insieme a Barack Obama) e l'Europa ci hanno preso in giro e dovrebbero fare un passo indietro storico, riconoscere i loro errori, auto flagellarsi e smettere di utilizzare le piattaforme digitali come strumenti di propaganda. Solo così si potrà iniziare a ricostruire la fiducia tra i cittadini e le istituzioni, una fiducia che oggi appare irrimediabilmente compromessa.

Andrea Ruggeri